l’Espresso 1486,Italicus, viene dilaniato da una bomba nella notte del 4 agosto 1974, mentre percorre l’ultima parte della galleria dell’Appennino sul tratto ferroviario Firenze-Bologna. In quell’attentato morirono 12 persone e ne rimasero ferite gravemente più di 40. Fra i morti, anche un giovane ferroviere forlivese di 24 anni, Silver Sirotti, in servizio come controllore. Sopravvissuto all’esplosione, trovandosi in vicinanza della carrozza numero cinque, e compresa la tragedia soccorse alcuni viaggiatori. Quindi, visto che le fiamme si diffondevano sempre più, impugnò un estintore e tornò per l’ultima volta nella vettura maggiormente colpita, dove il fumo e le fiamme ne provocarono la morte.
Pochi mesi prima, il 28 maggio 1974, dopo la strage di piazza della Loggia a Brescia, l’obiettivo che si erano posti gli strateghi del terrore sembrava essersi realizzato: l’ordine pubblico sul procinto di esplodere, decine di sedi del Movimento sociale italiano erano state prese d’assalto, le manifestazioni di piazza erano degenerate in guerriglia,.
L’immagine contrasta con la portata della risposta che in tutta Italia si registrò alla notizia della strage, di cui oggi si è persa la memoria.
Il cuore della mobilitazione fu Bologna: la bomba scoppiò, mentre il treno era in viaggio da Roma verso Monaco di Baviera, poco prima dell’arrivo nella città emiliana, molti erano i lavoratori emigranti che erano rientrati in patria per le ferie di Luglio, e che rientravano. Qui giunsero i presidenti e gli assessori regionali dell’Emilia-Romagna e della Toscana che incontrarono in prefettura il presidente del Consiglio Mariano Rumor. Cinque anni prima, il 15 dicembre 1969, il leader democristiano aveva presenziato, ammutolito, agli imponenti funerali delle vittime dell’attentato alla Banca nazionale dell’Agricoltura.
L’impatto del terrorismo neofascista, la violenza politica diffusa, il reiterato ricorso alla strage contro la popolazione inerme avevano, però, lasciato il segno sulla società civile, smarrita e lacerata dopo anni di violenze impunite. L’iniziativa presa dalle amministrazioni locali, dai sindacati e dai partiti dell’arco costituzionale non era stata, perciò, un atto formale di sdegno, ma puntava a indirizzare la mobilitazione collettiva che spontaneamente si stava registrando in tutto il Paese
Il giorno dopo l’attentato sul treno Italicus , le principali piazze delle città d’Italia si riempirono di manifestazioni pacifiche, organizzate unitariamente dai sindacati e dai partiti. Fu proclamato lo sciopero generale: a Bologna, il 6 agosto 1974, in piazza Maggiore, fu tenuta la manifestazione unitaria, mentre a Firenze una grande folla si radunò a piazzale degli Uffizi.
Il 10 agosto 1974 si tennero le esequie pubbliche per la strage del treno Italicus: una folla immensa si radunò nuovamente in piazza Maggiore, inondando tutto il centro storico della città. La messa funebre fu celebrata all’interno della Basilica di San Petronio, alla presenza del presidente della Repubblica Giovanni Leone, del presidente del Consiglio Rumor e del sindaco di Bologna Renato Zangheri.
La piazza fischiò i rappresentati dei partiti di governo, come il segretario della Democrazia cristiana Amintore Fanfani, apparsi sul palco, mentre esplose in un poderoso applauso alla vista del gonfalone della città martire di Marzabotto.
La memoria della Resistenza ebbe un ruolo decisivo nella mobilitazione di popolo: la strage era avvenuta in un territorio, dove trent’anni prima, nel luglio del 1944, si era abbattuta la violenza dei rastrellamenti e degli eccidi compiuti dai nazi-fascisti.
Si trattò di una mobilitazione imponente, adeguata alla gravità della strage. Dal gennaio all’agosto del 1974 si registrarono 42 attentati riconducibili all’eversione nera. Alcuni di questi attentati avevano finalità stragista, e solo a causa dell’imperizia degli autori, non riuscirono nel loro intento. Come a Silvi Marina, vicino a Pescara, quando, il 29 gennaio 1974, una bomba fallì nel colpire il treno Freccia del Sud. Pochi giorni dopo, il 9 febbraio, un altro ordigno veniva ritrovato inesploso su un treno merci diretto da Taranto a Siracusa. Il 21 aprile, infine, un attentato dinamitardo danneggiava gravemente la linea ferroviaria Firenze-Bologna.
La strage sul treno Italicus si inserisce in un contesto politico particolarmente delicato: il 21 novembre 1973, il ministro dell’interno Paolo Emilio Taviani, aveva sciolto il movimento politico Ordine nuovo, gli attentati appaiono immediatamente come la reazione al provvedimento che aveva messo in ginocchio l’estremismo nero.
Impossibile, tuttavia, non vedere il nesso con i progetti autoritari che, da oltre un quinquennio erano in preparazione. Proprio a inizio gennaio del 1974, il ministro della Difesa Mario Tanassi, fu costretto a rispondere ad una pioggia di interrogazioni parlamentari che chiedevano lumi sugli allarmi circa l’imminenza di un colpo di Stato.
Le indagini della magistratura, tra depistaggi e coperture, si orientarono, così, verso il Fronte nazionale rivoluzionario, una formazione di estrema destra, attiva in Toscana, che aveva teorizzato il ricorso alle stragi contro civili inermi per creare le condizioni per un intervento delle Forze Armate e di conseguenza per lo scoppio di una guerra civile.
Del gruppo, in stretto rapporto con la loggia massonica P2 guidata da Licio Gelli, facevano parte, tra gli altri, Luciano Franci, Mario Tuti, Marco Affatigato, Andrea Brogi e Augusto Cauchi. I depistaggi delle indagini ebbero i risultati sperati: bisognerà attendere il gennaio del 1975 per neutralizzare il Fronte nazionale rivoluzionario. Una perquisizione dell’abitazione di Mario Tuti, avvenuta pochi giorni dopo, costò la vita al brigadiere Leonardo Falco e all’appuntato Giovanni Ceravolo.
L’istruttoria per l’attentato al treno Italicus si concluse il 31 luglio 1980, a due giorni dalla bomba alla stazione di Bologna. Il processo di primo grado si pronunciò, quanto all’imputazione di strage, con l’assoluzione per insufficienza di prove di Mario Tuti, mentre con decisione presa dalla Corte d’Assise di Bologna il 20 luglio 1983, in sede di appello l’assoluzione venne confermata per il solo Malentacchi, mentre Tuti e Franci furono condannati all’ergastolo nel 1986, sentenza, tuttavia, annullata dalla Corte di Cassazione il 16 dicembre 1987. I due vennero definitivamente assolti dalla sentenza di Cassazione del 22 marzo 1992. Gli “ Ermellini” avevano assolto il loro infame compito.
Strage impunita, dunque, sebbene da altri processi sarebbero emerse molte conferme dell’impianto accusatorio nei confronti del Fronte nazionale rivoluzionario. L’attentato, rappresentò un vero e proprio spartiacque nella storia dell’eversione e delle minacce alla democrazia, la cui importanza non è ancora emersa in tutta la sua portata.
Il 23 dicembre 1984, infatti, una bomba esplodeva, provocando 16 vittime, all’interno del Rapido 904, mentre passava nella Grande Galleria dell’Appennino, subito dopo la stazione di Vernio, a Nord di Prato, con modalità che richiamavano esplicitamente l’attentato del 1974. Le indagini giudiziarie stabilirono la responsabilità della mafia che aveva così reagito alla pressione della magistratura su Cosa Nostra.
Seguiranno altri attentati e altre stragi, per lo più impuniti, la stagione dell’eversione non era ancora finita.