“Io non augurerei a un cane o a un serpente – alla più bassa e disgraziata creatura della Terra – non augurerei a nessuna di queste creature ciò che ho dovuto soffrire per cose di cui non sono colpevole. Ma la mia convinzione è che ho sofferto per cose di cui sono colpevole. Sto soffrendo perché sono un anarchico, e davvero io sono un anarchico; ho sofferto perché ero un Italiano, e davvero io sono un Italiano”
Dichiarazione di Bartolomeo Vanzetti, 9 aprile 1927, nell’aula del tribunale di Dedham, Massachusetts.
E’ passato più di un secolo dal giorno in cui Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti furono fermati a South Bridgewater, mentre su un tram sferragliante stavano ritornando a casa dopo un incontro con due amici andato a monte. Nei loro cappotti sono trovati alcuni volantini anarchici e due pistole.
Sin da subito pensarono di essere stati arrestati perché sovversivi, perché contrari alle politiche razziste americane, perché attivi ormai da tempo nelle battaglie sociali combattute dagli emigrati italiani, nelle fabbriche, nei dormitori delle città, dove vivevano in condizioni penose.
Invece, sono accusati di averi compiuto una rapina avvenuta in un sobborgo di Boston, alcuni giorni prima del loro arresto, rapina in cui erano stati uccisi due uomini, il cassiere di un calzaturificio e una guardia giurata.
Bartolomeo Vanzetti (Tumlin per gli amici) era nato nel 1888 a Villafalletto nel cuneese, pescivendolo, figlio di un agricoltore a vent’anni entra in contatto con le idee socialiste, decide poi di partire per l’America, miraggio di una vita migliore per molti italiani dei primi del Novecento. Tra il 1865 e il 1915 circa 26 milioni d’immigrati giungono in America dall’Europa sud orientale. Gli immigrati non conoscono la lingua, sono cattolici, poco istruiti, la povertà e la fame di lavoro, permette lo sfruttamento selvaggio.
Nicola Sacco era un ciabattino nato il 22 Aprile del 1891a Torremaggiore in provincia di Foggia, arrivato negli USA, trova lavoro come operaio in una fabbrica di scarpe. Dieci ore al giorno per sei turni la settimana, è sindacalizzato e partecipa attivamente alle manifestazioni operaie, spesso tiene dei discorsi ai compagni. Per quest’attività è arrestato. Rilasciato, incontra la persona con la quale condividerà il suo destino: Vanzetti.
Sì, erano anarchici. Lottavano perché potesse concretizzarsi il sogno di una scuola per tutti, affinché la giustizia e i diritti potessero entrare nei luoghi di lavoro, per far sì che gli immigrati avessero un trattamento da persone civili.
Il 31 maggio 1921 si apre a Dedham un processo farsa contro Sacco e Vanzetti. L’istruttoria dura più di un anno, soprattutto perché i testimoni oculari non identificano certamente i due italiani, ma è inutile. Non solo le testimonianze erano in condizione di confermarlo, ma anche i documenti rappresentavano la certezza della loro estraneità ai fatti e quindi della loro totale innocenza; ma i testimoni della difesa vengono considerati inaffidabili perché italiani, e quindi tendenzialmente portati a mentire.
Il procedimento prende subito dopo un taglio politico.
Nel 1918 i loro nomi erano stati iscritti nelle liste dei potenziali sovversivi, c’è un clima pesante negli USA, mentre in Russia è scoppiata la rivoluzione, e il governo si prepara a deportare gli emigranti non graditi, quelli che ritiene pericolosi. Non ostante le incertezze e alcuni vizi procedurali, la giuria, infoiata dalle argomentazioni del pubblico ministero, che eccitano i peggiori sentimenti patriottici e il timore del “ pericolo rosso” il 14 luglio 1921 pronuncia la sentenza di condanna a morte per entrambi per omicidio di primo grado.
Trascorreranno sette anni, prima dell’esecuzione. Anni in cui la difesa presenterà, al Governatore del Massachusetts ben otto istanze di revisione del processo. A nulla varrà perfino la dichiarazione di un detenuto portoghese, Celestino Madeiros, che confessava la rapina, scagionando completamente Sacco e Vanzetti.
Sette anni di grandi battaglie, misero il mondo intero di fronte all’ignobile scelta del governo americano: sette anni che servirono alla difesa a smontare tutte le tesi dell’accusa e a presentare i veri responsabili dei fatti criminosi, ma non fu sufficiente a convincere il pubblico ministero, il presidente del tribunale, il governatore del Massachusetts e il presidente degli Stati Uniti.
Così, tra le proteste del mondo in un’afosa notte di agosto in una Boston militarizzata, in uno Stato spaventato e in una Nazione costernata, la corrente elettrica passò nel corpo di Nick e Bart. Per primo muore Sacco, alle 0,19. Poi Vanzetti sette minuti dopo.
Al loro funerale prese parte quasi mezzo milione di persone, manifestazioni di protesta anche violente, si tennero in ogni dove. In diverse città europee, comprese Londra e Parigi, si svolgono imponenti manifestazioni popolari contro gli USA. I corpi dei due italiani sono cremati, e le urne portate in Italia da una delle sue sorelle, Luigina Vanzetti.
Il 23 Agosto del 1977, nel 50° anniversario dell’uccisione di Sacco e Vanzetti, il governatore del Massachusetts, Michael Dukakis, li riabilita, affermando “ Io dichiaro che ogni stigma e ogni onta vengano per sempre cancellati dai nomi di Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti”.
Quando nel 1977, Vincenzina Vanzetti sorella dell’anarchico Bartolomeo, fu informata del fatto che il governatore del Massachusetts, Michael Dukakis, aveva deciso di dedicare una giornata alla memoria dei due italiani, assumendosi la responsabilità di una condanna ingiusta che aveva scandalizzato il mondo, confidò ai presenti che il suo obiettivo, quello di riabilitare la memoria del fratello, era stato raggiunto. Le sue parole la dicono lunga sull’importanza che lei assegnò alla sua battaglia: «Adesso posso anche morire in pace!», confidò al nipote Giovanni, indicando così la fine di una storia che l’aveva vista per circa vent’anni sempre in prima fila a sostenere una battaglia a tutto campo per il riconoscimento dell’innocenza del fratello e del suo amico Sacco.
La storia di una vicenda crudele e impossibile si ferma a questo punto.
(Historicus)