L’ultimo rapporto dello SVIMEZ non lascia margini di dubbio: il Sud è in caduta libera. I dati forniti sono spaventosi. PIL e saldo occupazionale sono in picchiata; un terzo della popolazione è oramai a rischio povertà e i soggetti più esposti sono ovviamente donne e giovani, e se si considera che il 70% dei posti di lavoro persi nel nostro Paese sia al Sud, e che la fascia di età che va dai quindici ai trentaquattro anni sia la più penalizzata il quadro sia completo.
Secondo lo Svimez, a fronte di una crescita media del Pil del 3,4 per cento nel 2022, quello del Mezzogiorno aumenterà solo del 2,8% a fronte del 3,4% del Nord-Ovest e del 4,7% del Nord-Est, ma in linea con l’Italia centrale. Nel 2023 andrà anche peggio, con una media dell’1,5% il Pil del Mezzogiorno non arriverà neanche all’1%, contro l’1,9% del Nord-Ovest e l’1,4% del Nord-Est e questa volta un buon recupero del Centro, che si attesterà all’1,7%. Il divario permane anche nel 2024.
A risentirne è soprattutto il lavoro: il recupero del dato occupazionale, si fonda quasi esclusivamente su contratti di lavoro dipendente, a termine e tempo parziale involontario, che ha “sostituito” il lavoro stabile. In conseguenza di una maggiore incertezza, e anche di un’acuita povertà, frenano i consumi, poiché più di un terzo delle famiglie del Mezzogiorno si colloca nel 20% delle famiglie più povere del nostro Paese.
Lo squilibrio territoriale, si traduce immediatamente in un maggiore impatto dell’inflazione, e di riduzione della spesa.
Molti governi si sono cimentati nel corso degli anni, mettendo in atto politiche di sostegno, creando istituti di credito ad hoc, nel tentativo di attirare investimenti al Sud, i risultati sono stati rovinosi! Visitate le zone industriali, le zone di sviluppo artigianale, i distretti specialistici di questa o quella produzione, troverete ruderi e macerie in un paesaggio desolante da “Day After”.
Gli investimenti di rapina, fuori dal contesto sociale e culturale hanno lasciato alle loro spalle il deserto, con buona pace dei politici che li hanno sponsorizzati, cedendo forse alla corruzione, con la sola finalità di raccogliere consensi elettorali.
Forse i risultati sarebbero stati diversi se si fosse tenuto conto del fatto che c’è un altro Sud! C’è un Sud con la sua cultura, con una sua idea delle cose e sul come farle, che ha un suo patrimonio culturale, che potrebbe rialzarsi da solo, se solo gli si consentisse di ripartire da ciò checondivide, non da ciò che è stato artatamente importato, cioè la cultura dell’industrializzazione.
Nel Mezzogiorno vi è uno straordinario patrimonio culturale. La cultura può e deve essere una delle leve essenziali per affondare il gap che segna il sud dal nord del Paese, la CGIL l’ha affermato con decisione a Bari, in un’iniziativa che si è svolta nei giorni scorsi.
Per L’unità e la crescita del paese, questo lo slogan con cui si sono aperti i lavori a Bari. Dal dopoguerra a oggi tutti i progetti di sviluppo sono stati calati dall’alto. Progetti che hanno negato le specificità, le vocazioni; si è sempre trattato progetti estranei alla cultura del Sud, che non hanno tenuto conto della ricchezza dei territori, delle bellezze naturalistiche, delle sue comunità che conservano preziose testimonianze della loro cultura arcaica, dei giacimenti culturali straordinari ridotti in stato di abbandono.
Occorre ripensare il modello di sviluppo per il Sud, prima che sia troppo tardi. Per questo motivo ”C’è bisogno di un sistema nazionale della cultura, che indichi i livelli essenziali delle prestazioni, per far questo occorrono risorse destinate, e il Pnnr può essere un’occasione formidabile, occorrono però le volontà politiche” Questo il passaggio dell’intervento del Segretario Generale della CGIL, nelle sue conclusioni.
Ribaltare la tendenza in atto è fondamentale. Per cogliere fino in fondo le opportunità offerte dai finanziamenti europei, bisogna compiere delle scelte politiche chiare, efficaci, e condivise, gestite da una “governance” chiara e partecipata. La CGIL, raccoglie la sfida, è pronta con proposte indicando le priorità necessarie, dando così il proprio contributo.