Come tutti gli anni, alla fine di gennaio, si chiudono le iscrizioni alle scuole secondarie superiori italiane, un indicatore importante delle tendenze di studenti e famiglie.
A livello nazionale, le iscrizioni ai licei crescono ancora raggiungendo il 57,1 dal 56,6. Ma non sono i licei tradizionali a crescere. Quello che ancora cresce è il Liceo delle Scienze Umane che passa dal 10.3 all’11, 2 con l’incremento maggiore fra tutti gli indirizzi. Anche il Liceo Linguistico si espande passando però solamente dal 7,4 al 7,7. Sostanzialmente stabili l’indirizzo Europeo ed Internazionale ed i Licei Musicali, con una diminuzione degli Artistici sull’ordine del 0,6%. Dunque l’aumento dei licei è dovuto al Liceo delle Scienze Umane, mentre
. Informatica e telecomunicazioni stanno al 6,4 , poca roba, ma Meccanica e Meccatronica da una parte, e Chimica dall’altra, attirano l’interesse solamente del2,8 e del 2,4% . Ancora peggio i Professionali che diminuiscono di nuovo dal 12,7 al 12,1. E dunque il campo della formazione per il lavoro subisce una ulteriore perdita dello 0,4%. , ristagna la formazione per il lavoro. In una fase come questa, in cui le imprese lamentano la carenza di figure professionali, è una vera sciagura.
I dati della Istruzione e Formazione Professionale, sono in capo alle Regioni, non entrano in queste statistiche. Ma le Regioni non sono tenute a darli, ed in tutte si è registrata una grande difficoltà ad ottenerli, soprattutto quelli delle regioni del Sud.
Le tendenze delle Regioni, peraltro, si prestano ad interessanti riflessioni: il Veneto data vicinanza con il mondo Germanico e mitteleuropeo, predilige le iscrizioni ai licei Tecnici, il Lazio, come capitale del terziario burocratico, vede i licei in testa, e l’Emilia Romagna deve forse il primo posto, nella iscrizione agli istituti professionali, in seguito alla presenza di una forte immigrazione, in via di integrazione, che da sempre sceglie questo percorso formativo, come prima via di accesso alla scolarità superiore.
In conclusione, continua il trend che svuota progressivamente la formazione per il lavoro a favore di una licealità leggera.
La situazione della Lombardia non è molto diversa, anche se segna un leggerissimo cambio di passo. Ultima a cedere nel passato alla marea montante del Liceo delle Scienze Umane, potrebbe essere l’antesignana di una inversione di tendenza.
Come dimostrato da ricerche sul tema, anche investimenti significativi in progetti che cercano di reindirizzare verso la formazione per il lavoro l’orientamento che dà la scuola hanno ricadute limitate.
Le famiglie, e qui il nodo, si muovono in modo autonomo rispetto ai consigli scolastici, un trend su cui la scuola può fare fino ad un certo punto, e cioè quasi nulla.
Ma c’è un dato sociologico su cui riflettere
Nel nostro Paese, figli della piccola borghesia , che nella istruzione universitaria preceduta dal liceo, hanno trovato fin qui uno strumento di miglioramento, o di permanenza in un ceto sociale che vivono come relativamente privilegiato, vedono la formazione per il lavoro, come un declassamento. E certi filoni di ricercatori ne riproducono i pregiudizi, considerando che l’accesso ai licei non meglio specificati sia un indicatore evidente di mobilità sociale verso l’alto di ragazzi provenienti da strati sociali bassi.
La tendenza a disertare la formazione per il lavoro, soprattutto nel campo tecnico scientifico, non è solo italiana. Pensare però che tutto derivi solo, se non principalmente, dalla scuola e dal suo lavoro di orientamento sarebbe miope.
In tutto l’Occidente, prevale la tendenza ben radicata dall’ultimo decennio del secolo scorso, a prolungare la scolarità dei figli, e con ciò l’allontanamento dal lavoro. Si tratta sostanzialmente di un fenomeno di ostentazione dello status: il figlio fino alla maggiore età, ed anche oltre, frequenta una scuola che non lo porta direttamente al lavoro, perché la famiglia non ne ha bisogno, in grazia del crescente benessere e può offrire ai suoi giovani membri un periodo più lungo di libertà dai vincoli.
Nella Europa Est ex- comunista poi rimane la tradizione della formazione politecnica tipica di quei sistemi scolastici, più orientata alla scienza ed alla tecnica che alle humanities, viste a livello formativo come tipiche delle classi un tempo privilegiate.
Conclusioni generali: una osservazione interessante è venuta da una ricerca presentata al Seminario Invalsi dell’ottobre 2022. Il settore verso cui puntare per invertire questa tendenza, sarebbero le ragazze, che nel nostro paese, disertano in misura superiore a quella degli altri paesi, la formazione per il lavoro in campo scientifico- tecnologico. Nel contempo, mostrano notevoli e crescenti capacità negli studi, con risultati nel complesso superiori a quelli dei maschi coetanei, i quali mostrano un persistente zoccolo duro di irriducibili alla scolarità. Sono dunque solo fattori culturali legati ad una idea di femminilità molto tradizionale, che le lanciano in massa le giovani donne verso il liceo delle scienze Umane. Le azioni di orientamento e formazione che negli ultimi tempi si sono cominciate a realizzare, dovrebbero moltiplicarsi e, senza trascurare l’importanza della scuola, rivolgersi soprattutto alle famiglie. Anche, come si usa ora, con campagne di immagine sociale.
A cura uff. stampa. (Tks Tiziana Pedrizzi, ricercatrice IRRE Lombardia)