Milano. Anche se è già passato l’orario di chiusura, sono ancora in molti dentro i locali della Banca Nazionale dell’Agricoltura, in Piazza Fontana, è giornata di mercato venerdì 12 Dicembre 1969,.
Il salone è rimasto aperto ancora un po’, attorno al grande tavolo posto al centro, si attardano, per le ultime operazioni, sensali, bergamini, fittavoli, commercianti di mangimi e granaglie. All’improvviso, sono le 17,30, un boato assordante scuote l’edificio, mentre un odore strano ammorba l’aria; quando cala il nuvolone provocato dai calcinacci, lo scenario è spaventoso: a terra rimangono 17 persone morte, ed altre 88 ferite.
“ E’ scoppiata una caldaia!” si pensa in un primo tempo, ma ben presto si capirà che la realtà era un’altra: “E’ stata una bomba, non c’è dubbio”. Dopo pochi minuti, sempre a Milano, nella sede della Banca Commerciale Italiana in Piazza della Scala, è rinvenuta da un commesso una seconda bomba, inesplosa. A Roma, quasi contemporaneamente, nel giro di trenta minuti esplodono altre tre cariche, provocando complessivamente 17 feriti.
Si contarono dunque cinque attentati terroristici, nel pomeriggio di quel giorno, nello spazio temporale di cinquantatré minuti; volti a colpire simultaneamente Milano e Roma.
E’ un piano criminale lucido, preciso, curato nei minimi particolari, è il culmine di un’escalation. Le bombe del 12 Dicembre scoppiano in un’Italia dove, dall’inizio dell’anno, si sono contati 145 attentati, solo alcuni rivendicati, di matrice politica diversa.
Sono gli ingredienti necessari alla “strategia della tensione” che si sta realizzando nel Paese. Il disegno si configura ben presto chiaro: attraverso il disordine, la violenza e le bombe, si vuole favorire una reazione dello Stato in senso autoritario ed antidemocratico. E’ la stagione delle grandi lotte sindacali, volte alla conquista di diritti, di uguaglianza e di riforme, che oggi sembrano definitivamente acquisiti.
Gli attentati aprono scenari oscuri e complicati. Le indagini vedranno coinvolti, in un guazzabuglio d’ipotesi, in un primo tempo gli anarchici; poi gli infiltrati dei servizi segreti deviati, quindi gli ambienti della C.I.A. presenti nelle basi N.A.T.O. in Italia, i vertici delle forze armate italiane, ed infine i gruppi eversivi d’estrema destra.
Gli investigatori partono in fretta, con il piede sbagliato, e in una sola direzione; in un clima da “caccia alle streghe”, gli inquirenti iniziano a setacciare gli ambienti dell’anarchismo.
La sera stessa degli attentati viene fermato, e condotto alla questura di Milano, il ferroviere Giuseppe Pinelli, elemento di punta del circolo anarchico “Ponte della Ghisolfa”.
E’ sospettato da subito di essere uno degli autori della strage. Dopo tre giorni di continui ed estenuanti interrogatori,senza sosta, la mezzanotte tra il 15 e il 16 Dicembre, Pinelli “salta” da una finestra del quarto piano dell’ufficio politico della questura. Il suo cadavere viene rinvenuto nell’aiuola sottostante.
Il questore dichiarerà alla stampa che era fortemente indiziato, che i suoi alibi erano caduti, e quindi, sentendosi perduto, aveva compiuto un ultimo disperato gesto.
Oggi sappiamo che l’alibi era stato confermato da vari testimoni, tutti attendibili.
Il 15 Dicembre, viene arrestato a Milano e trasferito nella capitale, con l’accusa di concorso in strage, un altro anarchico. Il “mostro” come lo definirà sbrigativamente buona parte della stampa, è Pietro Valpreda, 37 anni, di professione ballerino, disoccupato, militante del “Circolo Anarchico 22 Marzo” di Roma; per gli inquirenti è la quadratura del cerchio!
Lo incastra, con una testimonianza contraddittoria e poco plausibile Cornelio Rolandi un tassista. Costui ha una folgorazione, e si presenta ai carabinieri, tre giorni dopo gli attentati, per raccontare la sua storia: avrebbe trasportato Valpreda il pomeriggio del 12 Dicembre, facendo un tragitto di 130 metri (sic!) con la sua vettura, da Piazza Beccaria a Piazza Fontana.
Guarda caso, nella mattinata del 15 Dicembre, la radio aveva annunciato che era stata posta una taglia di 50 milioni di lire, a favore di chi avesse fornito elementi utili ad individuare i colpevoli della strage. Se il supertestimone fosse arrivato al processo i 50 milioni non glieli avrebbe tolti nessuno, in vece morirà in vasca da bagno il 16 Luglio del 1971.
Le indagini ed i ripetuti processi che si susseguiranno negli anni, non daranno risposte agli interrogativi che quest’oscura vicenda pone: chi furono i mandanti? Chi gli esecutori materiali?.
La responsabilità delle stragi non può che essere ricondotta all’estrema destra, lo hanno detto le carte, i documenti, gli atti processuali.
Carlo Digilio, neofascista di Ordine Nuovo, ha confessato il proprio ruolo nella preparazione dell’attentato, coinvolgendo anche Freda e Ventura, componenti della stessa organizzazione.
Il 2 Maggio del 2005, parte degli accusati, militanti della destra eversiva, condannati all’ergastolo in primo grado,saranno assolti in sede giudiziaria, altri si gioveranno della prescrizione. Ai familiari delle vittime verrà richiesto, con un’ineffabile beffa, il pagamento delle spese processuali!
Solo alcuni esponenti della catena di comando dei Servizi Segreti, verranno condannati per i ripetuti depistaggi, compiuti nel tentativo, peraltro riuscito, di coprire i veri autori delle stragi ed i loro mandanti.
Dopo 53 anni la morte di Giuseppe Pinelli è ancora un mistero, le sue modalità non sono mai state chiarite, anche se la magistratura è concorde nel ritenerla accidentale.
A noi non resta che ricordare ed onorare le vittime innocenti di quegli attacchi eversivi, sacrificate per un progetto criminale, che mirava a scardinare lo stato democratico, per favorire svolte autoritarie